A casa mia ci sono due tipi di abbracci. C’è quello semplice, quando ti saluti, un gesto rapido quasi sovrappensiero: a 13 anni è merce rara, a 8 un rituale all’uscita da scuola.
E poi c’è l’abbraccio stringente. Se lo chiedi è perché ne hai proprio bisogno, se lo offri hai colto una fragilità nell’altro. Mi piace l’intenzione racchiusa nell’espressione, l’immagine di due parti di uno stesso oggetto che, se accostate, combaciano l’una con l’altra. È l’amore nel linguaggio dei bambini. Chi troppo vuole nulla stringe, ma se ti stringo forte non avrai bisogno d’altro.